Evgenij Valentinovič Kasperskij, nel mondo anglosassone come Eugene Kaspersky; (Novorossijsk, 4 ottobre 1965) è un informatico russo fondatore nel 1997 della Kaspersky Lab, azienda specializzata in sicurezza informatica e in produzione di antivirus.
Dopo la laurea Kasperskij inizia a lavorare in un istituto di ricerca multidisciplinare per la difesa. Dopo aver scoperto, nel 1989, il virus Cascade, comincia a studiare i virus per computer sviluppando una speciale utility di disinfezione, specifica per Cascade, la prima di una lunga serie. Cascade è stato il primo malware a entrare nel Database Antivirus di Kaspersky Lab, database che oggi comprende oltre 100 milioni di esemplari di malware.
Nel 1991 Kaspersky entra a far parte del Centro delle Tecnologie Informatiche KAMI, dove è alla guida di un piccolo team con lo scopo di sviluppare l’Anti-Virus Toolkit Pro (AVP), prototipo di quello che sarà successivamente il primo Kaspersky Anti-Virus. Grazie a Kaspersky, AVP diventa il primo software antivirus al mondo in grado di separare il software dal database antivirus, oggi giorno un requisito standard per i programmi di protezione informatica. Sviluppa inoltre l’idea di dotare AVP di un’interfaccia grafica utente.
Nel novembre del 1992, il team lancia l’AVP 1.0, il primo prodotto totalmente operativo che, due anni più tardi, si aggiudicherà il primo posto nei test comparativi condotti dai laboratori dell’Università di Amburgo. Il prodotto dimostra di poter individuare i virus con grande facilità e ottiene al contempo alte percentuali di neutralizzazione delle minacce, ben al di sopra della media dei programmi anti-virus più popolari dell’epoca. Grazie a questi meriti, la reputazione di AVP cresce a livello internazionale.
Nel 1997 Kaspersky e i suoi colleghi decidono di fondare una propria società, ponendo le basi di Kaspersky Lab. Kaspersky non vorrebbe utilizzare il proprio nome, ma alla fine viene convinto dalla moglie Natal’â, anche lei tra i fondatori dell’azienda. Nel novembre del 2000, AVP prende il nome di “Kaspersky Anti-Virus”.
Dalla fondazione, e fino al 2007, Kaspersky è a capo dell’unità di ricerca antivirus. Nel 2007 diventa CEO di Kaspersky Lab.
Eugene Kaspersky esprime da anni la propria preoccupazione rispetto a un eventuale attacco cibernetico rivolto a infrastrutture critiche che, secondo lui, avrebbe conseguenze catastrofiche su scala mondiale. Per Kaspersky, infatti, esiste la necessità di stabilire un patto per la non proliferazione di armi cibernetiche e considera l’escalation della guerra cibernetica come una vera e propria “chiamata all’azione” a cui la comunità internazionale dovrebbe rispondere.
Kaspersky si dichiara favorevole all’introduzione di uno standard di sicurezza informatica universale e alla cooperazione internazionale tra governi e aziende private.
Un attacco ransomware su un robot è diverso da quello su un computer, principalmente perché il robot di solito non memorizza i dati, ma li gestisce da solo. Indipendentemente da ciò, un simile attacco potrebbe comportare la perdita di accesso ai dati da parte di un’azienda, la chiusura della produzione o settimane di operazioni interrotte fino a quando il robot non sarà riparato.
Il robot infetto potrebbe anche essere un ingresso in altre reti interne di un’azienda, offrendo un accesso backdoor agli hacker e un punto di ingresso per la penetrazione dei livelli per rubare dati sensibili.
Il codice maligno iniettato potrebbe inoltre disabilitare le funzionalità di amministrazione e monitorare l’audio e il video del robot, indirizzando i dati da questi componenti al server di controllo e comando (C & C) dell’attacker. Sarebbe anche possibile modificare le impostazioni SSH e le password per impedire l’accesso remoto al robot e disabilitare il meccanismo di reset di fabbrica e funzionare male, il che potrebbe richiedere settimane per riportarlo allo stato operativo. Sfortunatamente, ogni secondo in cui un robot non è operativo, le aziende e le fabbriche stanno perdono molti soldi.
Sebbene non sia in grado di modificare i dati importanti, un utente malintenzionato potrebbe indirizzare i componenti del robot, interrompendo così il servizio fino al pagamento di un riscatto.
Altre ricerche svolte in relazione allo sviluppo delle auto autonome, che nell’ultimo salone di Ginevra sono state sostituite da una valanga di modelli elettrici in arrivo. Questo forse documenta quanto sia necessario prima occuparsi dell’ambiente che del destino della mobilità.
I test sulla guida autonoma continuano ma la data del debutto si allonta per motivi tecnici, normativi e ultimamente anche legati alla sicurezza. A New York, per uno studio elaborato dall’Istituto di Tecnologia della Georgia, è stato simulato un attacco hacker sulle auto a guida autonoma dimostrando che anche un’offensiva su piccola scala che coinvolgesse soltanto il 10 per cento dei veicoli mandrrebbe in tilt il traffico dell’intera città. Dicendo cosi addio a ogni vantaggio legato proprio alla circolazione. Certamente questo non basterà a fermare lo sviluppo dell’auto autonoma ma indurrà a maggiori riflessioni.
Quindi affidarsi all’intelligenza artificiale resta ancora difficile. Sicuramente ci sono investimenti miliardari dalla Cina agli Stati Uniti fino all’Europa, un utilizzo spregiudicato nel marketing che adopera l’acronimo AI (Artificial Intelligence) in ogni occasione soprattutto nel campo delle start up e dell’Internet of Things (IOT).
La tecnologia, in mano a colossi del calibro di Google, Amazon, IBM, Apple e Microsoft, sta facendo passi da gigante per quanto riguarda il riconoscimento facciale. Questo sitema già utilizzato in molti paesi come Cina o Singapore si può trasformare in un sistema di controllo di massa. Microsoft in un evento della Stanford University ha cominciato a fare marcia indietro attribuendo al sistema una capacità di errore ancora troppo elevata.