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Pier Benzi

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Truth Well Told, la verità ben raccontata, e molto altro…

“La verità ben raccontata” e il bel racconto molto verosimile, coinvolgono il rapporto fra il concetto di verità e quello di narrazione. Questo slogan, già nel 1912 sottolineava l’importanza di una narrazione vera e al tempo stesso coinvolgente. Esortava i pionieri della comunicazione di marca a creare messaggi che fossero veritieri e pertinenti e comunque capaci di connettersi con il pubblico attraverso l’intrattenimento.

Oggi, più di 110 anni dopo, in epoca di fake news, la verità nella comunicazione di marca, assume ancorché un valore politico. Il ben raccontato deve essere soprattutto vero per non tradire la scelta etica che molti brand esprimono in comunicazione.

È però necessaria una riflessione su cosa si intende oggi quando si parla di verità.
Il concetto di vero negli ultimi anni ha allargato i suoi confini, include cose che fino a non molto tempo fa non esistevano. Il piano digitale, intangibile e virtuale, è vero esattamente come la realtà fisica. Dobbiamo quindi considerare il vero di oggi come un vero più ampio del vero sperimentato dalle generazioni precedenti.

Questo vero allargato ha i suoi lati problematici. Ad esempio, implica un aumento esponenziale delle possibilità di falsificare qualunque tipo di contenuto.
Le persone sono sempre più consapevoli del fatto che l’uso dell’intelligenza artificiale nella generazione di contenuti può creare deep fake, ovvero falsi perfettamente verosimili. Questa consapevolezza rischia di risultare in uno sgretolamento della fiducia nelle informazioni di ogni tipo. L’aspetto positivo è che spinge sempre più persone ad un fact checking critico.
Sull’altro versante, però, troviamo persone senza strumenti di analisi che reagiscono aderendo a teorie del complotto, a loro volta manipolazioni della verità, in cui il dubbio lascia il posto alla certezza che sia tutto falso e asservito a poteri forti non chiaramente identificati che minacciano la gente. Fortunatamente la capacità di discernere, di valutare la credibilità delle fonti attraverso i dati e di costruire di una visione coerente e accurata della realtà è un’attitudine in ascesa nelle nuove generazioni. Che si sono abituate ad una relazione bidirezionale con l’informazione e con i brand, un tipo di rapporto in cui i messaggi, inclusi quelli di marca, possono essere sottoposti a critiche con conseguenze anche sostanziali.

D’altra parte, la capacità delle intelligenze artificiali di creare contenuti visivi, testuali e musicali ci offre nuovi stimoli e nuovi scenari. L’esercizio di confronto con questi strumenti costituisce un’opportunità di estensione della conoscenza e dell’esperienza straordinaria. Il rapporto con l’AI può essere vissuto come un potenziamento dell’intelligenza umana. Ancora una volta la tecnologia ci mette a disposizione un’estensione delle nostre capacità. Sta a ciascuno di noi capire come interpretare e utilizzare questa possibilità aggiuntiva nel modo migliore.

Che si tratti di vero fisico o vero virtuale, o di un mix comunque, la verità che interessa di più al pubblico contemporaneo riguarda la coerenza tra le pratiche dell’azienda e suoi valori: l’impegno verso le questioni sociali ed ambientali, la fiducia nella qualità dei prodotti, l’attenzione alle esigenze dei clienti e la capacità di adattarsi ai cambiamenti in modo da poter rispondere alle nuove istanze.
In definitiva coinvolge tutto quello che oggi è riassunto sotto l’acronimo ESG.

Anche la rilevanza di questo tipo di verità è un fatto relativamente nuovo. La sostenibilità ambientale, ad esempio, fino a non molto tempo fa era un valore marginalmente specifico, mentre oggi è un dovere e una leva di competizione importante e può fare la differenza sul mercato.
Dichiarazioni non veritiere sugli sforzi in termini di sostenibilità ambientale e sociale o circa il rispetto di determinati protocolli etici di produzione, tradiscono le aspettative del pubblico e minano la fiducia nelle aziende e nei brand. Ad esempio: un’accusa fondata di greenwashing oggi può richiedere una gestione della crisi che comporta un investimento in comunicazione e PR più ingente di quello necessario alla comunicazione del lancio di un nuovo prodotto su larga scala.

Gli sviluppi della tecnologia digitale e i cambiamenti di valori di cui sto parlando hanno un potenziale di trasformazione sociale enorme e creano la necessità di un impegno più profondo nella comprensione dei contesti.
È qui che entra in gioco il ruolo dei professionisti della comunicazione: una comunicazione di marca non sintonizzata sul cambiamento è inefficace. La comprensione del mondo come sistema dinamico e la sintesi creativa viaggiano insieme.
Gli insight di marketing più efficaci nascono sempre da sguardi proiettivi sul panorama collettivo sociale ed emotivo della comunità umana che è in continua trasformazione.
Come esempio basti pensare al fatto che un tempo l’esclusività era desiderabile mentre oggi è l’inclusività a dominare la scena. L’idea di status symbol che andava per la maggiore fino alla fine degli anni ‘80 oggi è sempre meno utilizzata e alcuni brand del lusso più illuminati stanno progressivamente prendendo le distanze. Anche se, soprattutto sui social e soprattutto da parte di alcuni tipi di creator, persistono dinamiche ostentative che influenzano negativamente le personalità più fragili, con basse capacità critiche e soggette ad atteggiamenti coercitivi.

Siamo consapevoli che la verità nella narrazione di marca oggi è questione etica, attiene alla responsabilità collettiva e individuale di agire in modo veritiero e di promuovere la trasparenza e l’onestà nella comunicazione. Ciò richiede l’adempimento degli obblighi di verità, integrità e rispetto per l’ecosistema del pianeta nel suo insieme. La comunicazione di marca rilascia nella società una serie di significati, in analogia con la carbon footprint, definirei queste emissioni come impronte. Le brandprint non influenzano il riscaldamento climatico ma l’atmosfera emotiva della società che le assorbe. Messaggi non regolati dal rispetto etico costituiscono una forma di inquinamento semantico ed emotivo, tanto dannoso quanto quello creato dalle emissioni di CO2 dei media.

Se dovessi riassumere quello che a mio avviso caratterizza la differenza del lavoro dei professionisti della comunicazione di oggi, direi che consiste in due tipi di capacità consulenziale.
La prima è collaborare con le aziende clienti in modo da evitare questo tipo di inquinamento semantico ed emotivo su due livelli.
La seconda è essere in grado di creare output che veicolino contenuti proprietari, veri e coinvolgenti proprio rispetto all’adempimento degli obblighi nei confronti dell’ambiente e della società. Visto che quasi tutti tendono a comunicare informazioni su sostenibilità e responsabilità sociale ora si tratta di trovare il modo di farlo in un modo proprietario, diverso fra un brand e l’altro, che si armonizzi con la personalità di marca.

Fra tante trasformazioni, c’è però una cosa riguardo alla verità che resta sempre uguale: la verità è bellezza. Non mette filtri alle cose ma ne esalta le peculiarità. Vive nell’assenza di omologazione, nel valore delle scelte, perfino nell’imperfezione. In questa assenza di mediazioni sta l’essenza disarmante della seduzione. È questa la verità che non cambia. Coltivarla vuol dire essere in grado di recuperare il fascino ovunque ci sia qualcosa di autentico, unico e differente.

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