Intuizione, rischio, ascolto.
L’intuito attualmente è una delle qualità più richieste nella vita di tutti giorni. Il rielaborare informazioni inconsce ci permette di prendere decisioni migliori. L’intuito spesso è considerato come la capacità di prendere decisioni corrette in mancanza di informazioni sufficienti, facendo leva, consciamente o inconsciamente, sulle nostre esperienze precedenti. L’intuito attualmente è una delle qualità più richieste nella vita di tutti giorni. Il rielaborare informazioni inconsce ci permette di prendere decisioni migliori. L’intuizione, quindi, è la capacità di percepire possibilità, significati e connessioni non immediatamente evidenti, guardando oltre, concentrando l’attenzione su idee, concetti e potenzialità future. Come quest’attitudine può esserci utile nel campo lavorativo? Ed è possibile dare a questa sensazione una spiegazione logica?
Oggi si dice spesso che abbiamo perso la capacità di ascoltare il nostro intuito, e forse è vero. Viviamo sommersi da stimoli, distratti, sempre connessi, ma poco connessi con noi stessi. Eppure, l’intuizione – se impariamo a riconoscerla – può essere una bussola preziosa, anche nel lavoro. A volte viene confusa con un semplice gut feeling, una reazione d’impulso. Ma l’intuito, quello autentico, è qualcosa di più sottile e profondo: è la capacità di percepire ciò che sta succedendo dentro di noi mentre interagiamo con il mondo esterno.
C’è una differenza tra percezione e interocezione: la prima riguarda ciò che riceviamo dai sensi, dall’esterno; la seconda, invece, è la lettura dei segnali interni, ossia la capacità del sistema nervoso di percepire e interpretare gli “alert” provenienti dall’interno del nostro corpo. Se impariamo ad ascoltare questi segnali – una tensione, una stretta allo stomaco, un respiro che cambia – possiamo leggere meglio le situazioni, prendere decisioni più consapevoli, e non solo reattive.
Gli animali lo fanno naturalmente: sanno dove fare il nido, come proteggersi, quando è il momento di muoversi. Non perché sentono qualcosa di “magico” ma perché sono totalmente presenti a se stessi. Credo che anche per noi sia così: quando riusciamo ad abitare il momento, a essere davvero presenti, allora sì che l’intuito diventa uno strumento utile, anche nel lavoro. Perché ci aiuta a cogliere segnali deboli, leggere meglio le persone e anticipare scenari o esigenze.
Il nostro intuito ci può aprire delle strade tanto interessanti quanto rischiose. D’altra parte, quando il rischio ha effetto positivo, allora diventa opportunità. Nella gestione dei nostri progetti spesso il rischio è un aspetto fondamentale ed inevitabile e si può trovare il coraggio di affrontarlo. La parola stessa progetto, che utilizziamo in Comunicazione è un termine associato alla proiezione verso il futuro delle nostre idee. Come mettere in atto efficacemente un piano d’azione in cui si affrontano e si contrastano i possibili elementi di rischio?
Quando ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo e complesso, il rischio è inevitabile. Mi viene in mente un progetto recente, particolarmente impegnativo, che ci è stato proposto: ampio, articolato, senza avere ancora certezze su fornitori dedicati o su come strutturare un’offerta concreta. La nostra prima risposta interna, da parte di un linguista, è stata: “È impossibile.” Ma come si fa a dire che qualcosa è impossibile, senza nemmeno provarci? Per me è molto più utile prendersi un rischio e sbagliare che non restare fermi.
Infatti, anche a livello aziendale abbiamo sempre cercato di osare, di fare le cose in modo diverso dal solito. Perché se segui sempre e solo il canone, difficilmente fai un passo avanti. Ovviamente non tutti i rischi sono uguali: alcuni vanno evitati o gestiti con prudenza, ma altri – quelli calcolati – vanno accolti. Non si tratta per forza di lanciarsi nel vuoto: a volte ci sono reti di protezione, strumenti, competenze che rendono il salto più sicuro. E il salto, a volte, è l’unico modo per cambiare, migliorare e innovare.
Mi viene in mente un vecchio detto portoghese, legato all’epoca delle esplorazioni via mare: c’erano quelli che salpavano per scoprire il mondo e quelli che restavano a casa per tenere tutto in ordine. Entrambi erano indispensabili. Ecco, credo che in un’azienda sia lo stesso: serve un equilibrio tra chi è più avvezzo al rischio e chi è più attento alla stabilità. È la combinazione tra queste attitudini diverse che fa funzionare un team, un’impresa e persino una società o un Paese.
In fondo, se l’umanità avesse sempre evitato il rischio, oggi saremmo ancora fermi al punto di partenza. Ogni progresso nasce dal coraggio di qualcuno che ha scelto di buttarsi.
Parlare di ascolto significa parlare di comunicazione. Dall’ascolto del brief all’ascolto dei colleghi, per individuare i trends e avvicinarsi all’innovazione. Oggi i brand stanno imparando ad ascoltare le persone, per condividere valori creati sui nostri desiderata, realizzando quanto sia importante il nostro consenso. Naturalmente l’innovazione ha molto aiutato questo processo, con l’analisi dei social media, e in generale dei comportamenti in rete, confermando le modalità e le motivazioni per cui si è attratti da un prodotto o interessati ad una marca. In che modo possiamo accentuare il carattere propositivo dell’informazione, permettendo ai brand di conoscere meglio la propria audience, per intrattenere e informare sperimentando nuovi linguaggi e tecnologie?
L’ascolto è un tema che ci sta molto a cuore, e su cui lavoriamo da anni. Nella comunicazione interna, ad esempio, abbiamo imparato che molti problemi nascono proprio da una mancanza di ascolto. Ascoltare è diventato quasi un mantra, soprattutto per chi – per ruolo o abitudine – è sempre stato abituato a parlare.
Ma come in ogni cosa, anche qui serve equilibrio: la comunicazione è un dialogo, non un monologo in due tempi. A volte, quindi, anche un eccesso di ascolto può essere un limite. Può capitare, ad esempio, che nel tentativo di applicare alla lettera il principio dell’ascoltare il cliente, si finisca per lasciare troppo spazio all’altro, senza contribuire in modo costruttivo alla conversazione, magari tralasciando elementi fondamentali come la presentazione di sé o del proprio ruolo. Questo dimostra che l’ascolto non è mai un gesto passivo: non significa semplicemente stare zitti. Ciascuno di noi fa un percorso personale per imparare ad ascoltare davvero, ed è un percorso che passa anche dalla capacità di riconoscere quando è il nostro turno per parlare.
Ascolto attivo, infatti, significa prestare attenzione ai segnali dell’altro, adattarsi a ciò che l’altro sta davvero dicendo – e non rispondere con frasi preconfezionate. Se sto ascoltando davvero, ogni risposta è unica. È proprio questa capacità di adattamento, questa cura nel cogliere le sfumature, che permette a un brand di entrare in connessione profonda con i clienti, con le persone.
Nel nostro team, questa attenzione ci ha portato a un livello di comprensione molto alto. Ci sentiamo ascoltati e capiti, e questo fa tutta la differenza. E poi, ricollegandomi alla prima domanda sull’intuizione, per ascoltare bene l’altro, bisogna prima saper ascoltare se stessi. Capire cosa è “mio” e cosa è “tuo”, distinguere tra ciò che l’altro ci comunica e le nostre proiezioni. È da lì che nasce una comunicazione vera, empatica, capace di informare, coinvolgere e far evolvere.
Mediastars propone di mettere in luce il valore della professionalità di chi contribuisce con il proprio apporto alla riuscita di un progetto di comunicazione.