L’intuito spesso è considerato come la capacità di prendere decisioni corrette in mancanza di informazioni sufficienti, facendo leva, consciamente o inconsciamente, sulle nostre esperienze precedenti. L’intuito attualmente è una delle qualità più richieste nella vita di tutti giorni. Il rielaborare informazioni inconsce ci permette di prendere decisioni migliori.
L’intuizione, quindi, è la capacità di percepire possibilità, significati e connessioni non immediatamente evidenti, guardando oltre, concentrando l’attenzione su idee, concetti e potenzialità future.
Come quest’attitudine può esserci utile nel campo lavorativo? È possibile dare a questa sensazione una spiegazione logica?
L’intuito è fondamentale, soprattutto nelle relazioni. In comunicazione, non si lavora mai da soli: ogni progetto nasce dall’interazione con persone, team, clienti, interlocutori più o meno espliciti. L’intuito, in questo contesto, è la capacità di leggere l’atmosfera prima ancora delle parole. Ti fa capire quando insistere e quando tacere, quando un’idea risuona davvero o quando va riformulata. È un radar invisibile che intercetta sfumature, silenzi, tensioni costruttive. E spesso è lì, nelle pieghe di un confronto umano, che si gioca il successo di un progetto. Non è magia: è ascolto, presenza, empatia affinata con l’esperienza.
Ma l’intuito non serve solo nei rapporti: è decisivo anche nei momenti in cui i dati mancano o sono troppi. In un contesto dove il tempo medio di attenzione online è sceso sotto gli 8 secondi, serve una mente allenata a cogliere connessioni veloci, a vedere pattern invisibili. L’intuito, in questo caso, è sintesi rapida di esperienze passate, un ragionamento istantaneo che ci guida dove l’analisi razionale non ha ancora messo piede. È ciò che ci permette di fare scelte sensate prima che diventino ovvie. In definitiva, l’intuito è logico, ma è una logica sottile, non lineare. E chi la coltiva con attenzione, ogni giorno, si muove con qualche passo di vantaggio. Per razionalizzare meglio, il modello di marketing che penso sposi meglio il concetto di intuito è il modello di Customer Journey, così come l’ho recentemente adattato al digital marketing.
Il nostro intuito ci può aprire delle strade tanto interessanti quanto rischiose. D’altra parte, quando il rischio ha effetto positivo allora diventa opportunità. Nella gestione dei nostri progetti spesso il rischio è un aspetto fondamentale e inevitabile e si può trovare il coraggio di affrontarlo.
La parola stessa progetto, che utilizziamo in Comunicazione è un termine associato alla proiezione verso il futuro delle nostre idee.
Come mettere in atto efficacemente un piano d’azione in cui si affrontano e si contrastano i possibili elementi di rischio?
Il rischio è la polpa cruda del cambiamento. Chi comunica, scommette sul futuro: ogni progetto è un salto, e saltare senza considerare il rischio è incoscienza, non visione. Personalmente, affronto il rischio con metodo: prima lo scompongo, poi lo simulo. Mi chiedo: qual è il peggior scenario possibile? Posso reggerlo? Se la risposta è sì, allora procedo. In oltre 35 anni di consulenza ho imparato che un progetto ben strutturato non elimina il rischio, ma lo rende gestibile. La chiave è il testing: piccoli esperimenti, rapidi feedback, adattamenti continui. Il digitale ci offre strumenti preziosi per questo. Un buon progetto non è rigido, è vivo. E, come ogni organismo vitale, si adatta, reagisce, cresce.
Parlare di ascolto significa parlare di comunicazione. Oggi i brand stanno imparando ad ascoltare le persone, per condividere valori creati sui nostri desiderata, stanno realizzando quanto sia importante il nostro consenso. Naturalmente l’innovazione ha molto aiutato questo processo, con l’analisi dei social media, e in generale dei comportamenti in rete, confermando le modalità e le motivazioni per cui si è attratti da un prodotto o interessati ad una marca.
In che modo possiamo accentuare il carattere propositivo dell’informazione, permettendo ai brand di conoscere meglio la propria audience, per intrattenere e informare sperimentando nuovi linguaggi e tecnologie?
Oggi non bastano più le informazioni: serve empatia. I dati ci dicono chi, ma solo l’ascolto profondo ci dice perché. Lavoro ogni giorno con brand che hanno capito che comunicare non è parlare, è entrare in relazione. Il monitoraggio dei comportamenti digitali – dal social listening alle mappe di calore – ci aiuta, ma da solo non basta. Serve un cambio culturale: smettere di chiedersi “cosa vogliamo dire” e iniziare a chiedersi “cosa stanno cercando”. Solo così l’informazione diventa proposta, stimolo, racconto. I linguaggi cambiano: video brevi, audio immersivi, chatbot empatici. Ma il cuore non cambia: chi sa ascoltare, saprà anche conquistare.
Mediastars propone di mettere in luce il valore della professionalità di chi contribuisce con il proprio apporto alla riuscita di un progetto di comunicazione.