L’intuizione, per me, è uno strumento prezioso. Spesso arriva prima dei dati, delle conferme razionali, dei numeri. Ma non nasce dal nulla: si nutre del mio ascolto quotidiano, del contatto con i clienti, dei segnali che colgo osservando i loro silenzi, i loro dubbi e le loro esitazioni. È come se qualcosa dentro di me riuscisse a intercettare il momento giusto per proporre una direzione, una frase, una strategia che li rispecchi davvero.
Sì, l’intuizione può essere spiegata logicamente, se partiamo dal presupposto che è il risultato di uno sguardo lungo, allenato e di una profonda connessione empatica con l’altro. È una forma di intelligenza sensibile, che intreccia logica e ascolto sottile. E quando mi fido della mia intuizione e delle intuizioni dei miei clienti – anche se comportano una deviazione rispetto alla strada più battuta – accade spesso che quelle scelte, inizialmente rischiose, si rivelino profondamente trasformative.
Il rischio, nel mio lavoro, è quasi sempre legato al mostrarsi. Professionisti e aziende con un forte senso etico hanno spesso paura di esporsi online: temono di essere fraintesi, di sembrare troppo commerciali, o di compromettere i loro valori. Aiutarli a trasformare quel rischio in opportunità è il cuore del mio mestiere. Per farlo, serve un piano d’azione che sia solido ma flessibile, e che parta sempre da una domanda fondamentale: “Cosa ti rende davvero autentico?” Solo da lì possiamo costruire una comunicazione che non sia una maschera, ma un ponte tra chi sei e chi vuoi raggiungere.
L’ascolto, infine, è la base di tutto. Non intendo solo l’ascolto del brief o delle parole dette, ma anche di quelle non dette. È un ascolto attivo, profondo, che coinvolge dati e intuizioni, tecnologia e relazione umana. Oggi abbiamo strumenti che ci permettono di leggere le conversazioni, analizzare comportamenti e identificare trend. Ma senza un ascolto vero, questi strumenti diventano sterile rumore.
Per accentuare il carattere propositivo dell’informazione, dobbiamo smettere di parlare “a” e iniziare a parlare “con”. Creare contenuti che nascono dall’incontro tra i valori del brand e i desideri delle persone. Questo significa anche sperimentare nuovi linguaggi, usare tecnologie con consapevolezza, e avere il coraggio di rallentare quando serve, per scegliere parole più vere, più rispettose, più efficaci.
Credo che comunicare significhi prendersi la responsabilità di lasciare un segno. E per farlo, servono sì strategia e tecnica, ma anche intuizione, ascolto e la giusta dose di coraggio.
Dovrebbe già avere una mia foto aggiornata. Per quanto riguarda il titolo professionale può scrivere social media manager & digital copywriter per brand etici.
Mediastars propone di mettere in luce il valore della professionalità di chi contribuisce con il proprio apporto alla riuscita di un progetto di comunicazione.