Morana Mikulandra
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Morana Mikulandra

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Morana
Mikulandra
RUOLO
Chief Operations Officer / Chief Creative Officer
AZIENDA
Visualcom
Intervista

INTUIZIONE – La sensibilità strategica che anticipa bisogni e visioni

Nel nostro settore, l’intuizione è spesso ciò che permette di cogliere l’essenza di un brand o di una richiesta del cliente prima ancora che venga pienamente espressa. I clienti, infatti, non sempre sanno esattamente cosa vogliono o come comunicarlo. Sentono l’urgenza di muoversi, di cambiare o di posizionarsi meglio, ma spesso non riescono a tradurre questa esigenza in parole chiare o in un brief strutturato. È qui che entra in gioco l’intuizione: una sensibilità sviluppata nel tempo, che si nutre di ascolto, esperienza e capacità di leggere tra le righe.

Nel quotidiano si manifesta nella capacità di cogliere connessioni tra elementi apparentemente distanti, di anticipare tendenze e di percepire bisogni latenti, prima ancora che vengano formulati. Nei progetti di comunicazione, questo si traduce in soluzioni rilevanti e differenzianti, che non perdono mai di vista la concretezza degli obiettivi.

Credo che l’intuizione sia spesso sottovalutata o fraintesa. Non è un impulso irrazionale, ma una forma di intelligenza profonda. Le neuroscienze ci spiegano che queste “sensazioni di pancia” nascono da esperienze accumulate e registrate dal corpo e dalla mente. Quando affrontiamo una scelta complessa o urgente, il cervello richiama queste memorie emotive sotto forma di segnali corporei che ci guidano.

Nel nostro lavoro, questi segnali anticipano spesso ciò che poi verrà confermato dall’analisi e dalla strategia. Non sostituiscono il metodo, ma lo completano. L’intuizione è, in fondo, una conoscenza silenziosa ma potentissima, sedimentata nel tempo, che ci orienta proprio quando i dati da soli non bastano ancora.

 

RISCHIO – Creatività consapevole in un mondo incerto

Credo che il rischio, quando è calcolato e sostenuto da una visione chiara e da un team coeso, possa trasformarsi in un potente acceleratore di valore. Ogni progetto, anche il più lineare, comporta una dose di rischio: proporre una direzione creativa inedita, scegliere un tono fuori dagli schemi, puntare su un insight poco esplorato. Ma proprio in questo spazio incerto si genera spesso la differenza tra una comunicazione che funziona e una che lascia il segno.

Il rischio diventa fertile quando è consapevole, condiviso e strategico. Le aziende con cui lavoriamo si aspettano da noi non solo idee brillanti, ma anche la capacità di accompagnarle nel prendere decisioni coraggiose e coerenti, assumendoci insieme la responsabilità del cambiamento. Una comunicazione efficace non è mai completamente sicura, è piuttosto un atto di fiducia costruito su ascolto, analisi e intuito.

Viviamo in un tempo dove l’incertezza è strutturale: cambiamenti climatici, rivoluzioni tecnologiche, instabilità geopolitica ed economica… tutto evolve rapidamente, e spesso in modo imprevedibile. Pretendere soluzioni perfette o assolutamente “sicure” non solo è irrealistico, ma rischia di paralizzare l’azione. L’idea di perfezione è un’illusione: ogni scelta porta con sé una componente di rischio, anche solo perché esclude altre possibilità.

Per questo, credo che abbracciare il rischio sia anche una forma di liberazione. Accettare che non possiamo controllare tutto, ma che possiamo prepararci, leggere i segnali, creare senso insieme. Il rischio consapevole ci obbliga a essere presenti, attenti, flessibili. Ed è proprio lì, in quel terreno instabile ma autentico, che nasce spesso la creatività più vera e la relazione più credibile tra brand e persone.

 

ASCOLTO – Dati, empatia e nuovi linguaggi per generare senso

Credo che oggi il carattere propositivo dell’informazione stia nel passaggio da una comunicazione che parla a una che ascolta e attiva. I brand non sono più solo emittenti di messaggi, ma piattaforme relazionali: devono sapersi mettere in ascolto continuo del proprio pubblico e costruire narrazioni che generano valore reciproco, non solo attenzione momentanea.

Per accentuare questo carattere, è fondamentale aiutare le aziende a conoscere veramente la propria audience: non solo dal punto di vista demografico o comportamentale, ma nei loro bisogni più profondi, nelle tensioni culturali che vivono, nei linguaggi che adottano e nei valori a cui aspirano. Questo significa combinare strumenti analitici – dati, insight, ricerche – con empatia e osservazione culturale. La tecnologia è fondamentale, ma va sempre messa al servizio di una visione umana e rilevante.

Da questo ascolto profondo può nascere un’informazione propositiva, che non si limita a descrivere o raccontare, ma che apre scenari, propone visioni, stimola immaginari. È un tipo di comunicazione che non “insegna” dall’alto, ma accompagna, genera coinvolgimento, spinge l’audience a riflettere e magari a cambiare.

I linguaggi, in questo senso, devono evolvere con coerenza e coraggio. Il pubblico è esposto a moltissimi stimoli ogni giorno: per emergere e restare, serve sperimentare con formati, toni e media, restando però autentici. Le tecnologie immersive – realtà aumentata, AI, interattività dinamica – offrono opportunità incredibili, ma funzionano solo se il contenuto ha un’anima. La sperimentazione non è un esercizio di stile, ma uno strumento per trovare nuove strade per dire cose vere.

Infine, per noi che lavoriamo nella comunicazione, è importante ricordare che non si tratta solo di “intrattenere” o “informare” per conquistare attenzione: si tratta di creare senso. E quando un brand riesce a farlo, non solo migliora il proprio posizionamento, ma costruisce legami più profondi e duraturi con le persone.

 

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