Nicola Uliari
CONDIVIDI

Nicola Uliari

EDIZIONE
tema
INTERVISTATO
Nicola
Uliari
RUOLO
Chief Creative Officer & Partner
AZIENDA
Louder Italia srl
Intervista

Come quest’attitudine (l’intuizione) può esserci utile nel campo lavorativo? È possibile dare a questa sensazione una spiegazione logica?

Domanda decisamente interessante, perché assolutamente attuale in un periodo epocale della comunicazione, ma non solo.

La domanda definisce l’intuizione come un’“attitudine”. Vero per molta parte della teoria, che la riferisce a tratti individuali. Ma attenzione a non scambiare l’intuizione con un colpo di genio improvviso.

Io la intendo come una forma di pensiero ad alta velocità, che si attiva quando esperienza, osservazione e sensibilità hanno avuto tempo di sedimentarsi. Ecco che, mentre la sensibilità può essere intesa come una caratteristica personale, esperienza e osservazione fanno parte di un percorso che non si può comprimere a un istante.
Nel mio lavoro, dove si progettano contenuti, spazi e relazioni che devono essere significativi per le persone, l’intuizione è spesso la prima manifestazione concreta di un’idea.

Il punto, quindi, non è idolatrarla, ma saperla riconoscere e trasformare in qualcosa che possa entrare in un processo produttivo.
Perché l’intuizione diventi reale, deve essere accompagnata dall’intenzione.

Prima ho parlato di periodo epocale, mi riferivo agli strumenti di intelligenza artificiale, ambito alquanto complesso e dibattuto, dai contenuti anacronistici nello stesso momento in cui se ne parla. Però due parole, in questo contesto, mi sento di esprimerle.

Noto, purtroppo, che soprattutto dai più giovani (in ambito lavorativo), l’AI è uno strumento che tende ad essere utilizzato proprio in sostituzione dell’intuizione. L’intelligenza artificiale non è intuitiva. È predittiva. Elabora ciò che è già stato, genera output ottimizzati, ma non anticipa il nuovo.

Il rischio non è che sostituisca la nostra intuizione, ma che ci disabitui a usarla, o addirittura ci impedisca di creare le sue basi, facendoci perdere la capacità di osservare senza fretta, di costruire esperienza e, soprattutto, di sbagliare in modo creativo. Perché è proprio così che nascono molte delle idee più interessanti.
La mia non è nostalgia di un pensiero artigianale, ma la difesa di una competenza strategica e urgente.

 

Come mettere in atto efficacemente un piano d’azione in cui si affrontano e si contrastano i possibili elementi di rischio?

In ambito creativo, il rischio si manifesta prima di tutto come “azzardo”. Un’idea potente, magari spiazzante, che esce dai codici abituali e per questo potenzialmente più efficace. Ma proprio perché rompe lo schema, porta con sé una quota di incertezza che spesso non è tecnica (o non solo), ma culturale.

Ed è qui che avviene un passaggio chiave: il rischio, inizialmente in mano a chi crea e progetta, passa nelle mani di chi deve approvarlo. Il cliente.
È lui che, nel momento in cui riceve la proposta, si trova a valutarne non solo la forza, ma la tenuta.
Spesso non è l’idea ad essere fragile, ma la disponibilità ad accoglierla.

In Louder abbiamo processi per passare dalla visione alla responsabilità progettuale. Il rischio va pianificato, non dichiarato.
Serve una leadership capace di prendere decisioni rapide in scenari non lineari, di riconoscere le aree critiche prima che si manifestino e di costruire intorno al progetto un sistema che regga.

Quando la cultura del progetto incontra una struttura capace di sostenerla, e una leadership disposta ad assumersene la responsabilità, il rischio diventa un asset strategico.

 

In che modo possiamo accentuare il carattere propositivo dell’informazione, permettendo ai brand di conoscere meglio la propria audience, per intrattenere e informare sperimentando nuovi linguaggi e tecnologie?

 

Penso veramente che “comunicare” oggi significhi prendersi la responsabilità di dire qualcosa che abbia senso.

Non per tutti, ma per qualcuno in modo vero.

Viviamo in un periodo in cui le persone si aspettano coerenza e capacità di ascoltare. Non basta essere presenti: bisogna essere rilevanti. Quindi il punto non è il mezzo ed il linguaggio con cui si comunica, che può essere il modo per attrarre l’attenzione o ingaggiare il giusto target, ma cosa si comunica. Spesso scegliere cosa dire e cosa no.

Non serve inventare ogni volta qualcosa di nuovo. Serve ascoltare, scegliere con precisione cosa è giusto dire, e trovare il modo più essenziale per farlo arrivare.

Se devo quindi sperimentare e introdurre nuove tecnologie in questo contesto, preferisco applicarle per aumentare l’ascolto prima che generare contenuto.

 

Carioca Plus

Moovie

moovie

Puoi cercare qualsiasi argomento:
es. Un Credits, Un giurato, Un finalista, Un progetto, Un intervista
Ultimi articoli
SANSPOT: I MIGLIORI SPOT DEL FESTIVAL DI SANREMO 2025
02/15/2025
Il meglio dell’anno secondo la redazione di ArtsLife
01/02/2025
PROMPT Magazine
01/02/2025
Edizioni
XXIX Edizione
XXVIII Edizione
XXVII Edizione
XXVI Edizione
XXV Edizione
XXIV Edizione