Simona Tovaglieri
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Simona Tovaglieri

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Strategist | Corporate Storyteller | Brand Storyteller | Social researcher | Consulente in narrazioni d’impresa
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Intervista

INTUITO

Siamo abituati a pensare all’intuito come a qualcosa di vago, ineffabile, persino sospetto. Eppure, in un mondo in cui tutto si misura, l’intuito resta una delle capacità più decisive e meno addestrate per chi prende decisioni complesse.

Il problema è che non ci fidiamo del nostro intuito, lo riteniamo essere l’opposto della razionalità; non ci accorgiamo che invece è un’altra forma di intelligenza. Una sintesi rapidissima ed esclusivamente umana di esperienza, pattern invisibili, segnali deboli che abbiamo percepito e che restano latenti nella nostra mente, pronti a riattivarsi e combinarsi tra loro per stimoli esterni che chiedono delle risposte che esulano dal pensiero strutturato e razionale.

È una conoscenza silenziosa che emerge prima della parola.

E nei momenti chiave, quando nient’altro sembra portare a una soluzione, l’intuito diventa una guida. Quando la logica si inceppa, è quella voce interna a indicare la direzione.

In molti contesti professionali, l’intuito è ancora visto come un rischio da contenere, anziché come un alleato da sviluppare. Eppure, chi riesce a integrare pensiero analitico e sensibilità intuitiva riesce ad anticipare i segnali di cambiamento prima degli altri.

Si tratta dunque di allenare la capacità di “sentire” prima di sapere. Di ascolto di se stessi. Di costruire una cultura in cui l’intuito non è ridotto a impressione personale, ma riconosciuto come competenza strategica.

Per questo, oggi, per progettare contenuti e comunicazioni impattanti è necessaria anche l’intuizione: per cogliere il non detto, per intercettare bisogni impliciti, per immaginare scenari che ancora non esistono.

L’intuito è il primo passo per generare narrazioni che non si limitano solo a spiegare, ma che anticipano, ispirano, spostano.

RISCHIO

C’è un momento, in ogni decisione strategica, in cui la certezza finisce. In cui i dati dicono “forse”, gli scenari dicono “dipende”, e i colleghi dicono “meglio aspettare”. È lì che inizia il rischio.

Ma il rischio non è un problema. È l’unico luogo in cui può nascere qualcosa di nuovo: il rischio è il luogo del coraggio.

Spesso, nelle aziende, il rischio viene trattato come un nemico da evitare, da contenere. Eppure, senza rischio non c’è trasformazione. Nessuna campagna che abbia lasciato un segno è nata da un file Excel.

La differenza non sta nel rischio in sé, ma in come lo si vive: rischiare non significa improvvisare. Significa decidere di esporsi. Esporsi a un’idea non ancora validata. A un contenuto diverso dal solito. A una voce più autentica.

A volte ci si espone seguendo un processo razionale, il più delle volte seguendo il proprio intuito.

Oggi più che mai, comunicare è un atto rischioso, perché ogni parola è un posizionamento. Ogni silenzio, una scelta. E rischiosi sono gli scenari che si possono aprire: per quanto possa essere calcolata una narrazione, in termini di copy e visual, non si può calcolare completamente la reazione del pubblico a cui è rivolta. Interverranno sempre delle variabili quali il vissuto e la storia di queste persone, la loro cultura, il contesto in cui vivono.

L’ascolto dei pubblici è strategico per poterli conoscere e prevedere le possibili reazioni, ma si tratta di una conoscenza parziale, non completa a causa dei bias che involontariamente si attivano durante il processo esplorativo.

Ma se non si rischia, non si progredirà mai, si resterà immobili: solo chi sceglie di osare con metodo, visione e ascolto, chi osa rischiare, dimostra di essere un brand o un leader originale, unico, rompendo i canoni della conformità attorno a cui si appiattiscono alcune imprese.

ASCOLTO

Ogni strategia inizia quando si ha il coraggio di ascoltare.

Viviamo in una società che parla, ma non sempre ascolta. E nelle organizzazioni, l’ascolto è spesso confuso con il monitoraggio, la raccolta di dati, le survey.

Ma ascoltare non è raccogliere feedback; è accogliere significati e la storia di vita o professionale dei propri pubblici.

Significa andare oltre le risposte ovvie. Significa entrare nel mondo dell’altro per capire cosa sente, cosa si aspetta, cosa lo muove.

E l’ascolto trasforma l’organizzazione stessa, quella che, dopo aver intercettato le tensioni, i desideri, le paure dei pubblici coinvolti, costruisce una narrativa volta a prendersi cura della propria audience, stakeholders che si rivolgono all’impresa per trovare una risposta a ciò di cui necessitano.

L’ascolto strategico è la prima fase della progettazione di senso.

È da lì che nasce ogni contenuto che funziona.

Ogni strategia che lascia traccia.

Ogni messaggio che non viene solo letto, ma sentito.

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